venerdì 28 marzo 2014

La sindrome del selfie


 

 
 

Quante volte vi sarà capitato di aprire Facebook ed inciampare nell’ennesimo selfie di una delle vostre “amiche” social? Quel vezzo che impazza tra adolescenti e ragazze, tanto da far pensare a una vera e propria sindrome, che non manca di contagiare donne anche più mature.

Mi chiedo: qual è il senso di intasare il profilo dei propri autoscatti, perlopiù tutti uguali? Boccucce socchiuse, sguardi ammiccanti, pose studiate davanti allo specchio, il più delle volte “a culo di gallina” o di ¾ posteriore. Ed ancora scollature, trasparenze, tacchi alti e, dulcis in fundo, il dito medio alzato: l’immancabile dettaglio trash nel tragico tentativo di rassomigliare a qualche sgallettata “vip” alle prese con gli “insopportabili” paparazzi. Mostrarsi in foto che sembrano dire “Questa sono io, mi piaccio, sono sexy, guardatemi” è un modo per avere e vedere affermata la propria femminilità. E pur non essendo particolarmente belle, basta mostrare qualcosa di osè per ricevere consensi entusiastici nel giro di pochi minuti. Se la foto viene male non c’è problema, basta cancellare e rifarla finché non si ottiene il risultato desiderato; i programmi di fotoritocco fanno il resto.

Queste foto non hanno nulla di spontaneo ed autentico. La selezione accurata e strategica, le modifiche a piacimento e all’infinito assicurano un controllo assoluto sulla propria immagine e fanno sì che in pasto alla rete vada solo il “sé ideale”. Ci si mette in mostra per “vendersi” alle migliori condizioni possibili, esponendo quella che si ritiene essere la parte migliore e più interessante di sé, quella per cui si vuole essere notati.

E’ una scelta guidata dall’emancipazione e dall’acquisizione di una nuova consapevolezza di se stesse, come alcuni/e sostengono, o solo un modo per colmare i propri vuoti interiori? Molte ragazze hanno l’ossessione di apparire belle ma soprattutto di sentirselo dire, vivono di like su Facebook e identificano il loro valore con l’approvazione altrui, intesa più in senso quantitativo che qualitativo. Il numero di commenti è una specie di punteggio da sommare al proprio indice di popolarità, tanto è vero che le dirette interessate, senza nemmeno attendere i commenti maschili, si scambiano “punti” a vicenda magnificando le reciproche bellezze con toni e contenuti che sconfinano nell’eccesso praticamente in automatico. Uno stucchevole balletto di lusinghe che sembra, più prosaicamente, avere la funzione di esorcizzare le proprie ansie di fronte alle potenziali rivali nella corsa alle attenzioni maschili (digitali!).

Forse è un retaggio della società dell’immagine, in cui il dovere della perfezione estetica assurge a criterio di inclusione, successo e autorealizzazione: decenni di lavaggio del cervello hanno intimamente convinto le più deboli e immature che se non sei bella, sexy e in vista sei una nullità. O più semplicemente è la smania di protagonismo, il desiderio di mettersi in mostra a tutti i costi che ha trovato nei social network la valvola di sfogo per antonomasia. Esattamente come le varie Belen&Co, che si ritraggono sui loro profili social in momenti di straordinaria, per non dire insulsa, ordinarietà. E dire che i nostri genitori ci incoraggiavano a prendere spunto dalle eccellenze!



 
 
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mercoledì 26 settembre 2012

Benvenuti in Jokersmile

 
 


Ebbene sì. Cedo anch'io al blog. Ma solo e soltanto in qualità di aspirante giornalista e web content manager. Non ho l'ambizione di raccontare me stesso e la mia vita perchè sono patologicamente riservato, mi considero la nemesi dell'egocentrico e non credo di essere più interessante o capace di tanti altri. Ma il blog non è solo l'evidenza scritta della propria irrefrenabile vanità nè del proprio pensiero sul mondo: è innanzitutto (almeno così lo vedo io) una realtà ormai consolidata con cui uno scrupoloso professionista (o aspirante tale) deve quotidianamente confrontarsi. Una colonna portante dell'informazione del nuovo millennio, anzi - in ossequio al gergo tecnologico tanto caro agli internauti - dell'informazione 2.0, luogo di incontro di competenze specialistiche e citizen journalism, attendibilità e infondatezza, informazione e disimpegno. In sintesi uno strumento che desidero conoscere e gestire dall'interno per imparare ad ascoltare gli altri prima che me stesso. E, come Joker, senza mai prendersi troppo sul serio...