Quante volte vi sarà capitato di aprire Facebook ed inciampare nell’ennesimo selfie di una delle vostre “amiche” social? Quel vezzo che impazza tra adolescenti e ragazze, tanto da far pensare a una vera e propria sindrome, che non manca di contagiare donne anche più mature.
Mi chiedo: qual
è il senso di intasare il profilo dei propri autoscatti, perlopiù tutti uguali?
Boccucce socchiuse, sguardi ammiccanti, pose studiate davanti allo specchio, il
più delle volte “a culo di gallina” o di ¾ posteriore. Ed ancora scollature,
trasparenze, tacchi alti e, dulcis in
fundo, il dito medio alzato: l’immancabile dettaglio trash nel tragico tentativo di rassomigliare a qualche sgallettata
“vip” alle prese con gli “insopportabili” paparazzi. Mostrarsi in foto che
sembrano dire “Questa sono io, mi piaccio, sono sexy, guardatemi” è un modo per
avere e vedere affermata la propria femminilità. E pur non essendo
particolarmente belle, basta mostrare qualcosa di osè per ricevere consensi entusiastici nel giro di pochi minuti. Se
la foto viene male non c’è problema, basta cancellare e rifarla finché non si ottiene
il risultato desiderato; i programmi di fotoritocco fanno il resto.
Queste foto non hanno nulla di spontaneo ed autentico. La
selezione accurata e strategica, le modifiche a piacimento e all’infinito
assicurano un controllo assoluto sulla propria immagine e fanno sì che in pasto
alla rete vada solo il “sé ideale”. Ci si mette in mostra per “vendersi” alle
migliori condizioni possibili, esponendo quella che si ritiene essere la parte
migliore e più interessante di sé, quella per cui si vuole essere notati.
E’ una scelta
guidata dall’emancipazione e dall’acquisizione di una nuova consapevolezza di
se stesse, come alcuni/e sostengono, o solo un modo per colmare i propri vuoti
interiori? Molte ragazze hanno l’ossessione di apparire belle ma soprattutto di
sentirselo dire, vivono di like su
Facebook e identificano il loro valore con l’approvazione altrui, intesa più in
senso quantitativo che qualitativo. Il numero di commenti è una specie di
punteggio da sommare al proprio indice di popolarità, tanto è vero che le
dirette interessate, senza nemmeno attendere i commenti maschili, si scambiano
“punti” a vicenda magnificando le reciproche bellezze con toni e contenuti che
sconfinano nell’eccesso praticamente in automatico. Uno stucchevole balletto di
lusinghe che sembra, più prosaicamente, avere la funzione di esorcizzare le proprie
ansie di fronte alle potenziali rivali nella corsa alle attenzioni maschili
(digitali!).
Forse è un
retaggio della società dell’immagine, in cui il dovere della perfezione
estetica assurge a criterio di inclusione, successo e autorealizzazione: decenni
di lavaggio del cervello hanno intimamente convinto le più deboli e immature
che se non sei bella, sexy e in vista sei una nullità. O più semplicemente è la
smania di protagonismo, il desiderio di mettersi in mostra a tutti i costi che ha
trovato nei social network la valvola di sfogo per antonomasia. Esattamente come
le varie Belen&Co, che si ritraggono sui loro profili social in momenti di straordinaria, per non dire insulsa, ordinarietà.
E dire che i nostri genitori ci incoraggiavano a prendere spunto dalle
eccellenze!